Sul desiderio…
Il tempo storico in cui viviamo ci pone indubbiamente una serie di questioni, e una di queste è senz’altro legata al desiderio. Nel discorso contemporaneo, gli oggetti di desiderio sono costantemente messi in primo piano, e molte delle logiche a essi sottostanti sostengono un sistema che promuove sempre nuovi desideri nei soggetti. Diventa dunque interessante ripensare a questo concetto così sfuggevole e complesso da definire.
Il Desiderio e la sua Natura Sfuggente
Sappiamo che il raggiungimento di un determinato oggetto reale non basta a colmare la fame umana di desiderio; ogni oggetto si rivela sempre insoddisfacente, e vi sarà sempre qualcosa che manca da cui scaturisce un nuovo desiderio.
Ma quindi a cosa corrisponde? Di chi è il nostro desiderio? Possiamo realmente definirlo tale? Questa ricerca è spesso tortuosa e contraddittoria, in quanto siamo spesso divisi dai nostri stessi desideri, che possono essere confusi con quelli degli altri.
Il Desiderio dell’Altro
L’essere umano dipende in maniera indubitabile dal desiderio dell’Altro, senza il quale non può esistere. Un neonato, ad esempio, non potrebbe sopravvivere senza che ci sia un Altro che lo desidera. Questo desiderio non è legato all’istinto o ai bisogni primari, ma rappresenta una dialettica intersoggettiva: io desidero il desiderio dell’Altro.
Il desiderio, quindi, è un’apertura verso l’Altro, una domanda d’amore e d’ascolto. Quando la nostra parola non trova ascolto, ci sentiamo invisibili, non riconosciuti, con conseguenze che possono portare a depressione o sentimenti di rabbia. La psicoterapia offre uno spazio in cui il soggetto può esplorare e riconoscere questo bisogno fondamentale di essere ascoltato.
Riconoscere il Proprio Desiderio
In questa dialettica del riconoscimento, come può il soggetto riconoscere il proprio desiderio? Recalcati, nel suo testo Ritratti di desiderio, descrive il desiderio come una spinta creativa, una capacità di immaginazione e progettazione che va oltre la semplice consumazione di un oggetto:
“La parola desiderio non definisce un godimento illimitato, senza Legge, erratico, privo di responsabilità, ferocemente compulsivo e sregolato, quanto piuttosto la capacità di lavoro, di impresa, di progetto, di slancio, di creatività, di invenzione, di amore, di scambio, di apertura, di generazione. […] In questo senso il ‘desiderio di avere un proprio desiderio’ resta il fattore di resistenza a tutte quelle sirene suggestive che offrono la promessa di una assimilazione dell’umano in una Comunità iperedonista, dunque senza soggetto.”
In questo passaggio, Recalcati sottolinea un carattere fondamentale del desiderio: è la spinta vitale e creativa che alimenta l’essere del soggetto, non solo qualcosa che consuma, ma anche qualcosa che crea e che dà senso alla vita.
L’Etica del Desiderio in Psicoanalisi
Jacques Lacan scrive: “Niente costituisce il termine ultimo della presenza del soggetto più del desiderio”. Ma dov’è il soggetto? Spesso lo perdiamo di vista tra desideri smarriti o falsi, tra desideri dell’Altro. Ritrovare il proprio desiderio significa riconoscere il proprio essere, e la psicoanalisi nasce proprio dall’analisi di sogni e desideri.
Freud parlava di wunsch, che Lacan traduce con voeu (voto), intendendo il desiderio come vocazione. Quando il soggetto si allontana dalla sua vocazione, può sviluppare sintomi di sofferenza. Questo è ciò che Lacan definisce etica del desiderio: non un’etica del bene o della felicità, ma la responsabilità del soggetto di non cedere sul proprio desiderio.
Il desiderio può generare smarrimento e perdita, ma per comprenderlo l’unica via è quella della parola. La parola è l’atto che permette di raggiungere se stessi e riconoscere il proprio desiderio autentico.