Le Dipendenze

Il discorso odierno sulle dipendenze è diventato, in un certo senso, sempre più esteso. Oltre alle dipendenze da droghe e alcol, oggi si parla tanto anche di dipendenza affettiva, della dipendenza dal gioco d’azzardo, dal cibo, dai social network o, più in generale, dagli oggetti tecnologici da cui siamo diventati inseparabili.

Nella nostra società del policonsumo, c’è una grande e variegata offerta di oggetti di dipendenza. Così come troviamo che l’oggetto-droga ha un’offerta altamente diversificata sul mercato - per ogni umore c’è una sostanza diversa, puoi tirarti su se sei triste, puoi tranquillizzarti se sei agitato, e così via – vediamo che questo discorso vale anche per tutti gli oggetti di dipendenza.

L’offerta impressionante e continua di oggetti-gadget, come li definiva lo psicoanalista Jacques Lacan, e il mercato giocano proprio sul creare, in fondo, un bisogno costante del soggetto-consumatore di determinati oggetti. Il consumatore è degno di rispetto e ha il diritto di scegliere ciò che più lo aggrada al momento dell’uso.

Ma che funzione hanno questi oggetti di dipendenza, che rendono impossibile smettere di farne abuso?

La fase inaugurale è detta di “luna di miele” in quanto in primo piano c’è il rapporto con la sostanza o l’oggetto di dipendenza come qualcosa che dà grande piacere, un rapporto in cui non esiste angoscia; la sostanza è come una compagna che appaga sempre. Ciò che accade dopo la luna di miele, è che la sostanza diventa qualcosa di non controllabile, che prende il sopravvento sul soggetto, assume un’importanza maggiore nella vita della persona rispetto a ciò che poteva pensare all’inizio. Ma il punto più importante è che la sostanza, in seguito, non provoca più quell’ebbrezza iniziale ma diventa soltanto un mezzo per tenere a bada l’angoscia. Dunque, pur di tenere quest’ultima a bada, non se ne può più fare a meno.

Tali oggetti di dipendenza iniziano ad occupare gran parte della vita del soggetto diventando qualcosa che fa, in un certo senso, da stampella al soggetto, cioè gli permette di sostenersi, lo aiuta in situazioni che, ad esempio, possono creare disagio. Pensiamo all’uso che può fare un adolescente della sostanza per aiutarlo, per sostenerlo nell’incontro con l’Altro.

Quello che accade, però, quando la dipendenza si fissa è che la stampella si tramuta in qualcosa che trascina in giro il soggetto come un burattino; le emozioni sono bloccate, paralizzate sulla sedia a rotelle della propria dipendenza.

La prima cosa che si ritrova come effetto di una dipendenza è la riduzione significativa di tutte le attività sociali e creative della persona. Questo fenomeno è particolarmente frequente tra gli adolescenti e si verifica ogni volta che, per esempio, un ragazzo lascia un’attività piacevole, come uno sport, oppure si allontana dalle amicizie che non condividono lo stile di vita tossicomanico. Questo criterio ha molto a che fare con lo sganciamento dal legame sociale, dal legame con l’Altro dell’amore. Non si vuole più correre rischi; la sostanza offre più sicurezze e meno problemi di un rapporto amicale o amoroso. Non si ha più bisogno di allacciare un discorso con l’Altro perché si ha l’esperienza dell’oggetto di dipendenza tutta per sé, la quale permette proprio di non dover passare per l’Altro.

Quando la dipendenza si è instaurata non c’è più tutto questo interesse per l’Altro, c’è piuttosto una sconnessione dal desiderio per l’Altro e dell’Altro. Il fuoco del desiderio si spegne, non c’è più l’interesse, meglio godere da soli ciascuno con il proprio oggetto-sostanza.

L’oggetto di dipendenza è una risposta universale a qualunque domanda o stato di angoscia. Esso non è mai una domanda, una questione soggettiva, bensì qualcosa che tappa, chiude il discorso; è la merce psichica che illude il soggetto di poter trovare una sfera di non-contatto con l’Altro; è uno s-legame, un dis-amore, un “anti-amore”, come dice lo psicoanalista Jacques-Alain Miller.

Freud in uno dei suoi testi parla del rapporto del soggetto con l’oggetto di dipendenza – nel caso specifico Freud si riferisce all’alcolista - come un matrimonio perfetto, un’armonia perfetta. La formula del matrimonio felice la si può ritrovare nel rapporto tra l’uomo e il suo oggetto di godimento. È più facile, in fondo, soddisfarsi attraverso l’oggetto di dipendenza piuttosto che fare la fatica di allacciare un rapporto d’amore per trovare la felicità attraverso il legame con l’Altro, attraverso l’Altro.

In questo senso, la sostanza ha un carattere di oggetto-analgesico, in cui si manifesta un tentativo di desensibilizzazione, di anestesia delle emozioni, un modo per ripararsi dalla turbolenza della vita affettiva, per evitare l’angoscia difendendo il soggetto dal rischio del desiderio.

L’altro effetto tipico richiesto ad una sostanza è quello di acceleratore prestazionale. Pensiamo a determinate sostanze, che hanno una funzione di aumentare le capacità del soggetto rendendolo più performante e produttivo. Le nuove sostanze tendono a vivificare il corpo, attraverso un’amplificazione del movimento, per poter reggere livelli prestazionali frenetici; il corpo è inteso come una macchina portata al suo massimo performativo. Tutto questo ha la funzione di ridurre lo iato che divide il soggetto dal suo ideale narcisistico in una nuova forma di padronanza.

In questo modo, si intravede come gli oggetti di dipendenza servono a creare degli stati nel soggetto indipendentemente dal suo rapporto con l’Altro. La sostanza ha la funzione di dare compattezza al soggetto, produce un effetto immaginario di consolidamento narcisistico, l’illusione di un’autonomia. Essa ha la funzione di chiudere la mancanza a essere del soggetto, la sua mancanza costitutiva e strutturale. L’essere umano è tale per la sua condizione strutturale; tale condizione riguarda il fatto che siamo essere mancanti, lesi.

Il tossicodipendente, l’alcolista o il giocatore d’azzardo possono illudersi di colmare tale mancanza che abita l’essere parlante attraverso i propri oggetti di godimento. Il punto è che non c’è oggetto sostitutivo che possa essere sufficiente a colmarla. Per fortuna. Per fortuna perché la dimensione desiderante nell’essere umano può esistere solo a partire da una mancanza; è solo da questa che possono sorgere il desiderio, il pensiero e ogni atto creativo.

Gli oggetti sostitutivi creano una specie di manipolazione della mancanza a essere del soggetto, la quale viene trasformata in una pseudo-mancanza, ovvero in una mancanza ridotta ad un vuoto localizzato, suscettibile di essere riempito e continuamente generato dall’oggetto di consumo. La mancanza si riduce a vuoto da otturare, che esige costantemente di essere riempito.

La conseguenza psichica è che il desiderio si spegne e si può produrre una vera e propria angoscia di imprigionamento, di intrappolamento. L’angoscia sorge nel momento in cui è la mancanza stessa che viene a mancare in quanto essa è la risposta del soggetto all’impossibilità di preservare la mancanza da cui si anima il desiderio.

Nella maggior parte dei casi di dipendenza la parte più problematica riguarda la consapevolezza di avere un problema. Spesso c’è una massiccia negazione di avere sviluppato una dipendenza o semplicemente di avere qualche problema. Ma, nonostante il diniego, ci sono sempre dei momenti in cui la persona stessa sente che qualcosa non va, in cui viene percepito che l’oggetto sta diventando qualcosa di invadente nella propria vita.

La parola e la possibilità di un legame sono ciò che possono rompere questa coazione a ripetere, questa chiusura della vita su sé stessa.

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