La Depressione

Sempre più frequentemente sentiamo parlare di depressione. Anche nel linguaggio comune il fenomeno depressivo si è diffuso a gran velocità tanto da generare una confusione terminologica che non distingue più tra tristezza, male di vivere, melanconia…

Un dato che ormai possiamo dare per acquisito è che è un male che effettivamente colpisce notevolmente le società occidentali, nonostante in esse circoli un elevato e diffuso livello di benessere.

In effetti, sembrerebbe che tanto più l’essere umano si stacca dal piano dei bisogni primari, tanto più lo sviluppo tecnologico-scientifico consente alla collettività il mantenimento e il superamento dei problemi essenziali della sopravvivenza, tanto più affiorano nel tessuto sociale malessere e sofferenza diffusi.

Non si può non vedere una contraddizione gigantesca; nella società della felicità, in cui vige l’ideologia del fitness, del wellness, dello star bene, dell’iperigienismo, dell’illusione maniacale di onnipotenza e di eternità che non ammette insuccesso - vissuto come esperienza di smacco personale e fallimento – la depressione è diventata una forma di disagio dilagante.

In psicoanalisi si dice che tutto ciò che non trova una chance di elaborazione simbolica – perché rimosso o negato – tende immancabilmente a ripresentarsi sotto forma del reale; e in effetti ciò che osserviamo a livello sociale è che il vissuto di inadeguatezza, di insuccesso, di insensatezza, di negatività che la società ipermoderna scaraventa fuori dalla porta – in quanto poco produttivo e redditizio - rientra sotto forma di sintomi psicologici dalla finestra. Il propagarsi anche di sintomi nuovi come dipendenze, anoressia-bulimia, attacchi di panico, ecc può essere letto così. Ciò che non trova un luogo di elaborazione sociale fa ritorno a livello sintomatico.

Questa tematica di derivazione sociologica non spiega certo come si forma un disagio a livello individuale ma l’esistenza di un certo clima sociale non è scollegato dalla vita di ognuno noi.

Ciò che accade a livello individuale è sicuramente storia a sé; ogni storia è una storia a sé, e per questo, potremmo dire, che non esiste una causa specifica della depressione ma è possibile, nella estrema differenziazione delle particolarità dei casi, rinvenire degli elementi comuni che legano insieme le varie storie. È possibile ipotizzare che esiste una logica specifica che lega alcuni fatti, storie, dati biografici e che li indirizza verso un esito depressivo.

In primis, potremmo dire, che quasi sempre - per non dire sempre - c’è stato un evento di perdita.

Per perdita non si intende solo quella di una persona cara, ma anche di un lavoro, una posizione sociale, un riconoscimento, uno status, e ancora altre situazioni che possono fare esperienza di perdita per un soggetto. Tale evenienza inattesa produce una condizione di mancanza che si diffonde in ogni ambito della vita.

Il fatto che un certo evento possa o meno essere causa di uno stato depressivo è assolutamente soggettivo. Non tutti reagiscono ad uno stesso tipo di perdita nella stessa maniera e questo dipende anche da un altro fattore, ossia che molto spesso l’evento si collega ad una fragilità pregressa, a qualcosa di precedentemente inelaborato; per cui l’evento attuale fa solo da innesco, in un certo senso.

Inoltre, la questione della perdita non riguarda solo l’oggetto in sé perso; ciò che ha peso nella costituzione della posizione depressiva è che il soggetto, perdendo l’altro, perdendo quell’oggetto, perde anche un pezzo di sé.

Il soggetto sente di perdere il valore che attribuiva a sé stesso per il fatto che era l’oggetto perduto ad attribuirglielo. Da questa sensazione di perdita di un pezzo di sé deriva il vissuto di cedimento e svanimento che il soggetto sperimenta e che gli produce grande sofferenza.

Questa esperienza di perdita può avere a che fare sia con un versante che si colloca dal lato dell’essere sia con un versante che si colloca dal lato dell’avere. Cosa significa?

Significa che la perdita dal lato dell’essere va ad intaccare lo stesso essere del soggetto. Si perde quel valore che si aveva per l’altro che dava senso al proprio essere, quella posizione di eccezione per l’altro, quel riconoscimento che l’oggetto perduto assicurava all’essere del soggetto. Ciò che determina l’esperienza dolorosa e il crollo dell’essere del soggetto riguarda la perdita di ciò che si credeva di essere per l’altro, il sentire di non essere più ciò che si era immaginato di essere per l’altro.

Una congiuntura di questo tipo, dunque, può essere la morte di una persona cara, un abbandono amoroso, la fine di un amore, esperienze alle quali può conseguire un vissuto di crollo emotivo; lì si può sperimentare una perdita che riguarda il proprio essere.

Dal lato dell’avere – molto spesso concerne la posizione maschile –, la congiuntura scatenante di un vissuto depressivo può riguardare la perdita di un lavoro, di una posizione sociale, del riconoscimento del proprio valore prestazionale; una trasformazione che riguarda il versante dell’immagine, della propria rappresentazione sociale nel senso di una svalutazione della propria immagine di efficienza, prestanza.

Per lo psicoanalista francese Jacques Lacan la depressione allo stesso tempo mostra e nasconde un’altra questione che riguarda il soggetto.

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